Condividere bisogni e servizi: il futuro è nell’economia collaborativa
Nel nuovo numero di Vdossier un’analisi su come portare il sociale nelle pratiche di sharing, coinvolgendo il volontariato. Da Blabacar a Uber e Airbnb, si moltiplicano gli esempi di un sistema che Jeremy Rifkin definiva la terza rivoluzione industriale
“Perchè la sharing economy è la nuova frontiera da esplorare per il volontariato” è il titolo del nuovo numero di Vdossier, la rivista quadrimestrale di analisi e riflessione a cura dei centri di servizio per il volontariato di Bologna, Brescia, Cremona, L’Aquila, Lazio, Marche, Messina, Milano, Padova, Palermo, Rovigo, Torino, Vercelli-Biella e CSVnet Lombardia.
Un tema delicato e quanto mai attuale, che coinvolge anche il terzo settore. Jeremy Rifkin, visionario economista americano, sostiene che la sharing economy sia la terza rivoluzione industriale, perché è «la risposta ai cambiamenti climatici, all’ecosistema in difficoltà, alla distribuzione della ricchezza a dir poco squilibrata, a una crisi economica che non ha dato tregua per anni». Un sistema che, come sottolinea Arun Sundararajan, professore della New York University e altro guru dell’economia della condivisione, «sta contribuendo ad offrire alla gente servizi e soluzioni prima ritenute appannaggio dei più ricchi».
Tante le definizioni di un sistema in evoluzione, da “peer economy” a “economia collaborativa”, da “economia on-demand” a “gig economy” a “consumo collaborativo”. Termini a volte usati in modo intercambiabile, ma che, secondo gli esperti, indicherebbero in realtà settori diversi fra loro. E sui quali non mancano critiche e timori: infatti non essendoci ancora leggi e regolamenti che li disciplinino, tanto in Europa quanto in Italia, c’è chi li accusa di concorrenza sleale, chi di violare norme fiscali e previdenziali, chi di creare un precariato a vita e dilagante soprattutto per i giovani. Sigle come Blablacar, Airbnb, Uber (solo per citare le più note), infatti, sono ormai entrate nelle nostre vite e nei nostri stili di consumo.
Anche il terzo settore è chiamato ad affrontare questa sfida. Con una missione: riportare il sociale all’interno della sharing economy senza farsi coinvolgere in quella spirale dell’economia dei lavoretti che non produce valore sociale, ma disuguaglianze. Di fronte a uno scenario come questo, il non profit è chiamato a farsi parte attiva nel riportare al centro delle nuove forme economiche gli obiettivi di interesse generale, a partire dall’esigenza che la capacità delle persone di autorganizzazione e di creazione di legami sociali non divenga oggetto di appropriazione. Nel loro insieme fiducia e relazioni personali, con reciprocità e ridistribuzione, sono la leva che può scardinare il meccanismo dell’economia e del mercato “tradizionale” di domanda e offerta, perché produttore e consumatore sono interscambiabili e che al possesso privilegia lo scambio, il riutilizzo, il riciclo, la circolarità delle risorse prodotte, in una prospettiva economica, sociale e ambientale più sostenibile.
Oltre alle forme più conosciute di sharing economy, oggi esistono tante altre esperienze che hanno come comune denominatore la condivisione, non solo per l’approccio culturale, ma soprattutto come “pratica quotidiana”. E sono queste le sperimentazioni che possono riguardare e interrogare il non profit. Forme forse più silenziose, rivolte a bacini più ristretti che, sempre con il supporto dei social e delle tecnologie della rete, si sviluppano per rispondere a bisogni, per tradursi in servizi e risposte su dimensione territoriale alle esigenze concrete dei cittadini o di specifiche fasce della popolazione. E, oltre ai bisogni, riescono a intercettare meglio dei servizi “tradizionali” potenzialità, risorse, energie e a metterle in moto, coinvolgendo cittadini, famiglie gruppi informali, associazioni, amministrazioni pubbliche, mondo profit e producendo servizi e innovazione sociale.
Eccoci dunque al cuore della questione: che ruolo possono svolgere il non profit, il mondo associativo, la cooperazione e l’impresa sociale in questo scenario? In che modo l’universo della solidarietà può offrire riferimenti a chi dovrà scrivere leggi e regolamenti che riformino e potenzino la comunità della condivisione e l’innovazione sociale della collaborazione? Domande a cui si prova a rispondere in questo numero di Vdossier, confezionato anche grazie ai consigli e suggerimenti di Marta Mainieri e Ivana Pais, esperte del settore e studiose dell’argomento. Il terzo settore e, con esso il volontariato, potrebbero promuovere e attivare processi di partecipazione dei diversi soggetti del territorio per sviluppare in maniera condivisa un sistema più sostenibile (il richiamo all’interdipendenza tra economico, sociale e ambientale) e, al contempo, un rafforzamento dei cittadini e delle comunità per essere più resilienti ed empowered. In secondo luogo, potrebbero coinvolgere queste diverse realtà non solo come portatori di bisogni, ma anche come portatori di risorse, potenzialità, competenze. Perché messe in condivisione, in circolo, a disposizione degli altri, attiverebbero processi generativi, creativi, innovativi per i cittadini e le loro comunità; offrendo opportunità di partecipazione e condivisione.