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Transessuali e detenute: il loro racconto diventa un’opera teatrale

Da un progetto unico nel suo genere, avviato tra il carcere di Rebibbia e quello di Belluno, andrà in scena a novembre uno spettacolo di auto narrazione. Sette donne e la loro testimonianza di emarginazione, violenza e rivendicazione di identità 

di Francesca Valente

Quattro brasiliane, una napoletana, una paraguaiana e una peruviana, di età media attorno ai 35 anni. Cosa hanno in comune? Innanzitutto sono sette donne transessuali. Ma sono anche le sette detenute protagoniste di un laboratorio sperimentale di scrittura creativa e teatro in carcere unico nel suo genere in Italia, finalizzato alla realizzazione di uno spettacolo teatrale auto narrativo.

È il cuore pulsante del progetto che unisce il carcere romano di Rebibbia, sezione media sicurezza, e quello bellunese di Baldenich, uno dei cinque penitenziari in cui esistono sezioni riservate alle transessuali (gli altri sono Firenze, Napoli, Rimini e lo stesso Rebibbia).

Due operatrici del progetto
Due operatrici del progetto

 Il primo approccio tra le detenute, quattro operatrici dell'associazione Jabar (che lavora da anni nel carcere bellunese) e due operatori di Rebibbia - Antonio Turco, attore, autore e funzionario pedagogico dell'amministrazione penitenziaria romana, e Tamara Boccia, pedagogista sua stretta collaboratrice - è stato caratterizzato da diffidenza, curiosità ed entusiasmo. «Il linguaggio è diventato comune quando abbiamo parlato con loro di tecnica, ovvero di scrittura creativa basata sul metodo del teatro “di testimonianza”», raccontano i due ospiti romani, che sono stati a Belluno agli inizi di luglio proprio per lanciare questa sperimentazione. «Sono donne con passati violenti, - proseguono, - fatti di emarginazione, di inevitabile ricorso alla prostituzione, di rivendicazione sociale e di riconoscimento dell'identità. Donne che diventeranno protagoniste di un racconto teatrale che le accomunerà ai detenuti di Rebibbia (impegnati in vari progetti di recitazione, ndr) per una cosa in particolare: l'essere considerati diversi». 

gli operatori dell'associazione Jabar
Operatori e volontari dell'associazione Jabar

 Lo spettacolo, scritto e inscenato dalle detenute, andrà in scena con ogni probabilità il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza di genere, e si impernierà su intrecci di storie individuali e di condizioni collettive in cui l'emarginazione sociale, il non essere riconosciute, lo stigma, l'esilio relazionale saranno al centro della dimensione drammaturgica. Tra i due istituti penitenziari verranno condivisi alcuni estratti dei copioni scritti nei rispettivi laboratori, per lanciare un altro ponte con cui condividere non soltanto le parti, ma anche le persone.

Si tratta di un progetto pilota a livello nazionale, un gemellaggio tra un carcere molto grande e strategico e uno più piccolo e periferico. «Molte cose accomunano detenuti e detenute, affermano Boccia e Turco: - il mare, quello di Napoli ma anche di Rio de Janeiro; la cultura del popolo che sgomita nei Quartieri spagnoli e nelle favelas; il ricordo di violenze subite e del sentirsi costantemente "marchettari"».

Il progetto nella sua connotazione bellunese è finanziato dal Centro di servizio per il volontariato provinciale e sostenuto dal dipartimento Politiche sociali di Aics nazionale.

Informazioni: associazione.jabar@gmail.com; ufficiostampa@csvbelluno.it.

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