Catanzaro, così il volontariato risponde all’emergenza senzatetto
Dopo l’ondata di gelo delle scorse settimane il Centro di servizio del capoluogo calabrese consegna materiali di primo soccorso alle associazioni e racconta l’attività delle strutture di accoglienza attive giorno e notte per fronteggiare ogni tipo di bisogno
L’ondata di gelo che nelle ultime settimane ha investito Catanzaro ha dato vita a una “cordata” spontanea di solidarietà senza precedenti per dare riparo alle persone che vivono in strada. Anche il Csv di Catanzaro ha voluto dare un segnale di attenzione ai bisogni dei senzatetto e all’impegno costante dei volontari che si ritrovano a gestire le emergenze, consegnando nei giorni scorsi thermos, coperte termiche e bollitori alle associazioni di protezione civile. Per l’occasione tutti i protagonisti dell’iniziativa si sono ritrovati nella sede del Centro (presenti tra gli altri il presidente Luigi Cuomo, il direttore Stefano Morena e l’assessore comunale alle Politiche sociali Lea Concolino): un momento utile per parlare della sinergia che ha reso possibile l’intervento di quei giorni, permettendo di dare ospitalità ai senzatetto al centro sociale del quartiere Pontepiccolo; e anche della necessità di non navigare a vista, “strutturando” invece il volontariato con i mezzi per poter intervenire, in una logica di sussidiarietà con le istituzioni.
Ma la consegna ha anche dato lo spunto per un piccolo viaggio del Csv di Catanzaro nei centri di accoglienza del capoluogo calabrese.
20 anni di storie
Alla “Maddalena”, attiva da più di venti anni nel centro storico in convenzione con il Comune e gestita dalla Fondazione Città Solidale, giungono persone con i bisogni più disparati, dai senzatetto per fortune avverse e non per scelta, alle donne straniere vittime di tratta e italiane costrette alla fuga da un compagno violento. Le loro storie si intersecano con quelle degli immigrati arrivati a bordo di un barcone, alle prese con le maglie burocratiche dei permessi di soggiorno e con la mancanza di lavoro: in attesa di raggiungere amici o parenti, si fermano alla Maddalena per brevi periodi, per poi farci ritorno in occasione del rinnovo del permesso di soggiorno. Attraverso il supporto di mediatori e psicologi, vengono per loro attivati dei piani individuali comprensivi di percorsi formativi e di apprendimento della lingua, visite sanitarie e borse lavoro: “Perseguiamo uno stile che porta le persone a convivere responsabilmente con altre culture e etnie, dalla preparazione dei pasti che non contempla la carne di maiale, al rispetto degli orari dedicati alla preghiera, al riordino e alla pulizia degli spazi comuni – chiarisce la responsabile Mariella Ruggiero – Molto spesso questi ragazzi africani necessitano di supporto psicologico, perché la detenzione in Libia li mette davvero a dura prova. Ci raccontano le violenze inaudite ad opera degli scafisti, le condizioni disumane in cui stazionano nei centri lager, costretti anche a bere la propria ‘pipì’ per potersi dissetare, e poi le traversate che, al pari di una ‘roulette russa’, si portano dietro il rischio concreto di finire annegati o schiacciati dal peso degli altri corpi ammassati l’uno sull’altro”.
Di casi disperati alla Maddalena ne giungono tanti in ogni momento del giorno e della notte, alcuni di più facile soluzione rispetto ad altri. “I senzatetto ‘per scelta’, ad esempio, - continua Ruggiero, - che cerchiamo di aiutare con la distribuzione di pasti e coperte non solo nelle sere di gelo, rimangono tali. Non vogliono cambiare stile di vita. A tutti gli altri cerchiamo di dare risposte immediate, nella consapevolezza che gli italiani in difficoltà non desiderano staccarsi dai loro luoghi di origine e dai loro affetti più cari, mentre gli stranieri sono già proiettati con la mente al nord Italia o ad altri paesi d’Europa”.
Estrema precarietà
La parte più a sud della città è caratterizzata da una presenza maggiore di senzatetto e di persone che vivono in condizioni davvero poco dignitose. Per venire incontro alle loro esigenze, l’arcivescovo metropolitano Vincenzo Bertolone, nell’anno in cui Papa Francesco ha indetto il Giubileo della Misericordia, ha inaugurato il 7 dicembre 2015 l’Oasi di Misericordia nel quartiere “Fortuna”, con l’impegno congiunto di alcune realtà ecclesiali e di Fondazione Città Solidale che ne cura la gestione. Da allora, come tiene a precisare il responsabile Umberto Fedele, le persone italiane e straniere che vivono in condizioni di estrema precarietà, su segnalazione dei servizi sociali, delle parrocchie e della Caritas, e con documenti in regola, possono trascorrere la notte nell’accogliente struttura dotata di quattordici posti letto, di docce e lavanderia, e usufruire del servizio mensa (attivo dalle sette di sera) e della colazione al mattino. Subito dopo le persone riprendono la loro strada, per poi farvi ritorno, se sono abituali, alla sera.
Ma è nel servizio itinerante di distribuzione dei pasti “a domicilio” (ben 15.390 quelli distribuiti nel corso del 2018) che prende forma il disagio, attraverso l’incontro diretto con i senzatetto che si fanno trovare nei punti stabiliti, e la visita veloce alle case di tante persone alle prese con mille difficoltà quotidiane, e che a volte si fanno lasciare i pasti sul davanzale delle finestre senza neanche mostrarsi per vergogna.
L’essenziale della vita
A bordo del furgoncino dell’Oasi, gli operatori incontrano ogni giorno senzatetto e famiglie, e con loro stabiliscono un contatto che va ben oltre la consegna dei pasti: tra questi c’è Juan Carlos, un senzatetto molto conosciuto in città per la straordinaria cultura e visione misericordiosa della vita che lascia senza parole chi si ferma ad ascoltarlo. A dispetto dell’aspetto logoro, della barba incolta e dell’uso abbondante di alcol che, dice, fa per scaldarsi e per tenersi su con il morale, Juan Carlos si affida alla misericordia divina, nella convinzione che tutti gli uomini prima o poi faranno ritorno al “grembo materno”: e non è un caso che, dal Paraguay, abbia scelto come dimora il luogo dove la sua storia ha avuto inizio (il padre era originario di Lamezia), dopo tanto peregrinare su e giù per il mondo, con l’immancabile chitarra come unico bagaglio. Juan Carlos dimostra più anni di quelli che ha, è poliglotta e afferma di aver studiato medicina nucleare in passato. Di andare a dormire all’Oasi non ne vuole sapere, preferisce avere una coperta per sdraiarsi sotto il cielo stellato e sentirsi “più vicino a Dio”.
Tra le famiglie assistite c’è poi quella di Maria, una giovane mamma rumena sempre sorridente che vive in un’unica stanza umida a piano terra assieme alle tre figlie, gioiose come lei, al marito e ad un parente. Maria e la sua famiglia abita qui da quindici anni, le sue figlie sono nate in Italia e le due più grandi frequentano con profitto la scuola (l’ultima ha solo due anni): il marito lavora saltuariamente, ma di certo lo stato di indigenza non ha minato il loro animo allegro e accogliente. Nel vedere l’angusta stanza in cui si svolgono le varie fasi della giornata, ci si meraviglia della loro contentezza, come fosse un privilegio riservato ai pochi che colgono della vita gli aspetti più essenziali.
© Foto in copertina di Fabrizio Tempesti - Progetto FIAF-CSVnet “Tanti per tutti. Viaggio nel volontariato italiano”