Marie Claire, dal Burundi a Roma… e ritorno: volontaria tra due mondi
Volontari inattesi/11. Il genocidio del Ruanda destabilizzò anche il suo paese e i genitori la mandarono in Italia ventenne. Diventata infermiera si è costruita una famiglia e con la sua associazione mantiene il legame con la terra d’origine, dove aiuta le donne a rendersi autonome
Marie Claire è nata in Burundi, da genitori ruandesi, ed è arrivata in Italia nel 1994 quando era appena ventenne. Oggi è un’infermiera nel reparto oncologico dell’ospedale San Camillo Forlanini a Roma, dove vive con suo marito (un medico italiano conosciuto qui) e tre figli, a cui cerca di insegnare la lingua ruandese perché mantengano i contatti con la nonna. Anche lei è una dei “Volontari inattesi” che CSVnet ha conosciuto grazie all’omonima ricerca realizzata insieme al Centro studi Medì sull’impegno sociale delle persone di origine immigrata.
Negli anni 90 la famiglia di Marie Claire decise di mandarla in Italia, dove già viveva la sorella maggiore, dato che la situazione del suo paese si faceva sempre più instabile a causa del genocidio del popolo Tutsi in atto nel vicino Ruanda.
Una volta arrivata in Italia ha completato gli studi integrando il suo diploma e laureandosi poi in Scienze infermieristiche: “All’inizio volevo fare la pediatra, - racconta Marie Claire, - ma mia sorella mi spiegò che ci sarebbero voluti molti anni di studio e mi consigliò di scegliere una strada più breve, in modo da cominciare prima a lavorare e ad aiutare i nostri genitori rimasti in Ruanda. E così ho fatto”.
Ma Maria Claire, nel suo percorso di integrazione, non ha mai dimenticato il punto da cui è partita e, proprio perché ritiene di essere stata molto fortunata per i traguardi raggiunti, ha scelto di essere “un’ascoltatrice attiva” – così si definisce – e per questo ha creato la Umubyeyi mwiza (UM Onlus), di cui è anche la presidente. Umubyeyi mwiza è un’espressione della lingua kinyarwanda traducibile con il concetto di “una mamma buona”. È un’organizzazione umanitaria fondata da migranti che non hanno perso il contatto con il proprio paese d’origine. Il suo impegno nel volontariato è nato proprio dall’ascolto, durante alcune visite nel suo paese d’origine, delle storie di donne che all’inizio “sembravano addormentate”; poi “pian piano hanno incominciato a raccontare e ho capito cosa avevano vissuto. Mi ha toccato veramente nel cuore – ricorda – rendermi conto che ci sono donne, mamme come me, che non riescono a lavorare e a mantenere la propria famiglia a causa della violenza subita e dei traumi conseguenti a quello che avevano passato”.
Ma piuttosto che dare loro del denaro, Marie Claire ha preferito aiutarle a rendersi autonome attraverso il lavoro, liberandosi dalla depressione e da quel senso di incapacità che le opprimeva. Ed è proprio questa la finalità principale della sua associazione.
Tutto è iniziato sei anni fa con il progetto “Crescere dopo il trauma del genocidio”, ancora attivo, per la formazione di operatori socio-sanitari locali da parte di professionisti italiani. Poi è stata creata una cooperativa dove le persone, prevalentemente donne, realizzano oggetti di artigianato ruandese che vengono venduti in Italia per raccogliere fondi da investire nella cooperativa stessa e distribuire tra le artigiane. “Per queste donne – dice Marie Claire – il solo fatto di incontrarsi tutti i giorni è importante perché le aiuta ad uscire dalla solitudine”.
Con il progetto “Le Donne di Gisagara”, invece, è stato avviato un allevamento di galline ovaiole, grazie alla manodopera locale che ha costruito dei pollai proprio nei cortili delle case in cui abitano le donne coinvolte nel progetto. A ciascuna sono state affidate 10 galline. In una realtà complessa come quella ruandese, la creazione di una possibilità micro-imprenditoriale costituisce un elemento fondamentale per lo sviluppo socio-economico di queste donne. “C’è chi è riuscita – racconta Marie Claire – e anche chi non è riuscita, ma è comunque rimasta nel gruppo, sostenuta dalle altre. Alcune poi hanno acquistato una capretta, oppure è stata fatta una colletta per ricomprare le galline a chi non era riuscita nell’intento iniziale. Tutto ciò ha permesso a queste donne di ritrovare una forza interiore incredibile, grazie alla quale sono riuscite ad andare oltre il dolore di quello che avevano vissuto! E questo ha dato la forza anche a me di continuare a sostenerle”.
Il punto di forza dell’associazione UM Onlus sta proprio nel rivolgersi direttamente alle persone che hanno bisogno di aiuto per trovare insieme a loro la strada migliore da seguire: “Gli ho chiesto di collaborare con me, - precisa Marie Claire, - non di lavorare per me. La più grande soddisfazione è stata vedere come le persone con un minimo aiuto riescono a rinascere”.
Ne è passato di tempo da quando Marie Claire è arrivata in Italia, poco più che bambina. Da allora, non ha mai vissuto come un ostacolo il suo provenire da un altro mondo, ma oggi più che mai vive come un vantaggio il suo essere “ponte” tra due realtà profondamente diverse, l’Italia e il Ruanda, e che ormai per lei sono diventate un’unica cosa. “Quando sto in Ruanda, - dice, - sento che l’Italia mi manca; quando sto in Italia, mi manca il Ruanda…”.
Come ci racconta lei stessa, non ha mai sofferto la discriminazione, soprattutto perché ha sempre potuto contare sulla sorella maggiore che era già ben integrata. Gli unici segnali di disparità Marie Claire li ha percepiti grazie all’aiuto di una persona, la vicepresidente di UM Onlus, che insegna anche intercultura. “Lei mi ha dato uno strumento in più, facendomi capire cosa sono i pregiudizi e gli stereotipi. È come se avessi dato un nome a delle situazioni vissute in passato, senza rendermene conto. Adesso, quando li riconosco, mi viene da ridere. Ad esempio, quando sono al lavoro, anche se indosso la divisa da infermiera le persone si stupiscono nel vedere una nera in un ospedale pubblico e chiedono di parlare con qualcun altro perché pensano che io sia un’ausiliaria. Ciò che non si conosce fa paura all’inizio, ma in mezzo alla sofferenza il colore si perde, siamo esseri umani e basta”.
Marie Claire sottolinea l’importanza di far emergere l’impegno spontaneo e solidaristico dei tanti immigrati presenti in Italia. “È importante far sapere che non si viene qui per ‘rubare il lavoro’ o chiedere l’elemosina, ma c’è anche chi è impegnato nel volontariato. Non ci sono soltanto le barche, c’è anche una storia dietro. E c’è anche il dopo”.
E in base alla sua esperienza personale, sono tante anche le associazioni aperte al coinvolgimento dei migranti. “Purtroppo se ne parla poco, ma se tutti ci mettessimo a raccontare quello che facciamo, una giornata non basterebbe. Bisogna fare rete: con l’aiuto del Csv del Lazio la mia associazione ha fatto i primi passi, come un bambino a cui si insegna a camminare”.
In quest’ultimo periodo segnato dall’emergenza Coronavirus Maria Claire non si è fermata e anche se l’associazione ha dovuto sospendere alcune delle sue iniziative è riuscita a portare avanti una raccolta fondi insieme ai lavoratori della Roma multiservizi S.p.a, a favore dell’ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma. La somma raccolta, 800 euro, sarà utilizzata per acquistare dispositivi di protezione per il personale sanitario e apparecchi di ventilazione. Quello delle persone che hanno sostenuto la causa, ha raccontato Marie Claire “lo considero un grande gesto di amore e partecipazione”. Anche le donne della cooperative creata in Ruanda hanno vissuto con preoccupazione la situazione che si è creata qui in Italia. “Fin da subito – ha detto – mi hanno chiesto notizie e aggiornamenti su ciò che stava accadendo e ora ci sentiamo più uniti che mai”.
Ma la pandemia è giunta anche laggiù, sebbene con numeri inferiori rispetto all’Italia; le conseguenze però, soprattutto quelle del lockdown mondiale, si sono fatte sentire. Per questo Um onlus ha organizzato anche una donazione straordinaria di farina per la cooperativa e per tutta la comunità.
(Intervista integrale realizzata da Ksenjia Fonovic, Csv Lazio. Redazione di Alessia Ciccotti)
La ricerca Volontari inattesi - L’impegno sociale delle persone di origine immigrata, a cura di Maurizio Ambrosini e Deborah Erminio (Edizioni Erickson, pagg. 352), viene presentata on line il 22 giugno 2020. Leggi tutti gli aggiornamenti nel focus di CSVnet.