A Padova il volontariato non si ferma nonostante la pandemia
E’ quanto emerge dal rapporto realizzato dal neo Csv di Padova e Rovigo insieme ad Università e comune. Nell’anno del lockdown sono aumentate le organizzazioni attive sul territorio arrivando ad oltre 6.500 unità. Dai dati emerge il profilo di un “volontariato episodico” che ha fatto fronte all’emergenza
La pandemia non ha fermato il mondo del volontariato e del terzo settore attivo nella provincia di Padova, dove il 58 per cento delle associazioni ha continuato ad operare anche durante il primo lockdown.
E’ quanto emerge dal rapporto annuale 2020 “Azioni, volti e sogni del volontariato padovano” presentato oggi dal neo Csv di Padova e Rovigo.
L’indagine, giunta alla 5^ edizione, è stata realizzata in collaborazione con l'Università degli Studi di Padova e l’amministrazione comunale, offre una fotografia approfondita del terzo settore che opera sul territorio provinciale, oltre a un focus sulla forza economica e sulla risposta del volontariato ai tempi del Covid-19.
Dai risultati emerge un tessuto associativo che gode di buona salute e che ha saputo sostenere le ripercussioni dell’emergenza sanitaria.
Infatti, secondo il rapporto, nel 2020 le organizzazioni censite sono aumentate di 104 unità rispetto al 2019 diventando 6.570, con una crescita più evidente nel comune di Padova (+51) – che nel 2020 è stata Capitale europea del volontariato – dove si contano un’organizzazione non profit ogni 100 abitanti, mentre nella provincia risulta una presenza di 0,7 organizzazioni ogni 100 abitanti costante negli ultimi anni.
Come spiega il rapporto, anche nel 2020 – in linea con gli anni precedenti - le associazioni con maggiore presenza si confermano quelle operanti in ambito culturale, ambientale e quelle sportive, che insieme rappresentano più della metà del totale delle organizzazioni, spiega il rapporto. Molto presenti, anche le associazioni del sociale e del socio-sanitario, settori quasi esclusivamente appannaggio delle organizzazioni di volontariato.
A livello economico, si tratta per lo più di piccole organizzazioni, con entrate annuali inferiori a 30mila euro che si reggono in gran parte su contributi privati compreso il 5 per mille.
Si differenziano le organizzazioni che operano in ambito socio-sanitario le cui entrate principali derivano da contributi pubblici, per lo più per servizi in convenzione.
Un’ampia parte del report è dedicata poi all'emergenza Covid – 19, attraverso due diversi focus.
Il primo è basato su un questionario indirizzato alle associazioni del territorio per raccogliere le necessità e le principali problematiche, poco dopo il primo lockdown.
Tra gli aspetti più rilevanti il fatto che, come già detto, il 58% delle organizzazioni ha continuato ad operare, anche se prevalentemente in modalità a distanza mentre il 56% delle associazioni si è attivato con attività specifiche legate all'emergenza, spesso nuove rispetto a quelle ordinarie, dimostrando una buona capacità di resilienza.
La maggior parte delle associazioni ha potuto contare inoltre su una stretta collaborazione con l'ente pubblico, mentre le principali attività sospese hanno riguardato ovviamente le iniziative culturali e ricreative.
Il secondo focus, realizzato dal dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell'università degli Studi di Padova ha riguardato le motivazioni dei volontari che si sono attivati all'interno del progetto “Per Padova noi ci siamo”.
Il questionario – che ha raggiunto oltre il 48 per cento dei volontari attivi nel progetto al momento della rilevazione – ha fatto emergere un “volontariato episodico” visto che il 43 per cento dei rispondenti non stava svolgendo alcun tipo di volontariato prima di iniziare il progetto attivandosi appositamente per l’emergenza Covid-19. Inoltre tra questi l’8,6 per cento ha dichiarato di non aver mai svolto nessun tipo di volontariato in passato”.
Tra quanti hanno risposto ai questionari, “nessun ‘nuovo volontario’ è stato attivato a lungo termine - si legge nella ricerca -. Probabilmente le persone già poco attive hanno voluto sperimentare azioni di volontariato legate all’emergenza, senza una reale motivazione a continuare anche dopo”. Non è ancora chiaro, quindi, come questo impegno sporadico sperimentato durante la prima fase possa trasformarsi in volontariato più strutturato, spiega la ricerca. “Se è già noto che traumi collettivi favoriscono solidarietà, identità collettiva, partecipazione civica e attivazione di comportamenti pro-sociali - si legge nel testo -, è ancora poco chiaro se e come questi atteggiamenti si trasformino nel tempo in forme di volontariato più strutturato”.
Altra novità emersa da questo secondo focus, riguarda il coinvolgimento dei quartieri della città di Padova.
Come spiega il Csv in una nota “alla luce dei risultati, anche della seconda fase di indagine, il quartiere diventa una realtà, un soggetto da non sottovalutare per l'attivazione delle persone: risulterà – suggeriscono i dati - più probabile attivare forme di volontariato legate a problemi del quartiere”.
Secondo la ricerca, “la centralità del quartiere potrebbe suggerire la necessità di orientare politiche pubbliche focalizzate ad attivare forme di volontariato di quartiere, ma anche nuove figure professionali adibite all’attivazione e sostegno di reti informali di vicinato che la crisi ha più volte documentato come possano essere funzionali per combattere solitudini ed emarginazione”.
Secondo Emanuele Alecci, presidente del Csv di Padova Rovigo “i numeri ci confermano non solo che ci troviamo di fronte ad un mondo in espansione, ma che anche nell’anno del cosiddetto lockdown il valore economico sociale del volontariato è continuato ad essere inestimabilmente prezioso per tutto il nostro territorio. Tutto ciò anche grazie al grande lavoro che con caparbietà si è realizzato attraverso il riconoscimento di Padova capitale europea del volontariato”.