Istat, torna a crescere la voglia di fare volontariato
Presentato il 10^ rapporto sul Benessere equo e sostenibile. Cresce di un punto percentuale la quota di popolazione impegnata nella solidarietà ma non siamo ancora a livelli pre-pandemia. Sabbadini: “l’impegno si muove in un contesto faticoso, difficile trovare una nuova normalità”
Sempre più italiani scelgono di fare volontariato: nel 2022 l’8 per cento della popolazione è impegnata in qualche attività solidale, a fronte del 7,3 registrato nel 2021 (+1 per cento); si tratta di una crescita che tuttavia non consente ancora di tornare ai livelli pre-pandemia.
È quanto emerge dall’ultimo rapporto Bes - benessere equo e sostenibile – presentato da Istat oggi a Roma nell’aula magna della sede nazionale.
L’indagine, giunta alla sua decima edizione, consente una lettura sulla qualità della vita nel nostro paese attraverso l’analisi di 12 domini che definiscono il benessere (salute; istruzione e formazione; lavoro e conciliazione dei tempi di vita; benessere economico; relazioni sociali; politica e istituzioni; sicurezza; benessere soggettivo; paesaggio e patrimonio culturale; ambiente; innovazione, ricerca e creatività; qualità dei servizi) articolati in 152 indicatori.
Tornando alla propensione degli italiani ad impegnarsi in attività solidali, che rientra nel dominio delle relazioni sociali, l’istituto nazionale di stat sottolinea come il coinvolgimento nell’anno di riferimento (il 2022) non mostri differenze di genere, mentre rispetto all’età i livelli più alti di partecipazione si riscontrino tra i giovani di 20-24 anni e nella fascia d’età tra i 35 e i 74 anni (tra l’8% e il 9%); tra la popolazione di 75 anni e più si registra il livello più basso (5,2%). Istat aggiunge inoltre che la propensione a fare volontariato cresce di più tra le categorie che avevano subito una maggiore contrazione durante la pandemia: le donne, che vedono un aumento di +1,3 punti percentuali e la popolazione compresa nella fascia d’età 35-44 anni (+1,9 punti percentuali).
Dal punto di vista geografico l’aumento è trasversale su tutto il territorio nazionale, ad eccezione del Nord-est - che storicamente ha sempre registrato i livelli più alti di coinvolgimento - dove la quota rimane stabile.
Interessante è anche il dato sulla propensione a donare. Dopo il lieve aumento registrato nel 2020, probabilmente anche a seguito delle campagne informative e di sensibilizzazione a sostegno della ricerca e delle organizzazioni mediche e sanitarie diffuse durante il lockdown, nel 2021 le donazioni in denaro al non profit avevano mostrato una diminuzione attestandosi al 12,0%, il valore più basso di tutta la serie storica (Figura 5). Il 2022 invece è l’anno della ripresa anche dal punto di vista dei finanziamenti alle associazioni con un lieve aumento che sfiora il 13 per cento.
“In generale, i segni positivi su molti indicatori legati al dominio delle relazioni sociali, e in particolare nella partecipazione all’associazionismo, sono sì un segnale di ripresa, ma in un contesto evidentemente faticoso, in cui emerge la ricerca di una nuova normalità non ancora raggiunta” – ha commentato Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale Istat, durante la presentazione dell’indagine (che si può rivedere qui).
In effetti, guardando al quadro complessivo, l’Italia è sempre più distante dagli standard europei sul benessere.
“La maggior parte degli indicatori del Bes disponibili per il confronto con la media dei paesi europei (Ue27) mostra una situazione peggiore per l’Italia – rileva l’Istat -. Si tratta in particolare di alcuni indicatori dei domini Istruzione e formazione e Lavoro e conciliazione dei tempi di vita. Tra questi la quota di giovani di 15-29 anni che si trovano al di fuori del contesto di istruzione e non sono occupati (NEET), che in Italia raggiunge il 19 per cento rispetto all’11,7 per cento della media Ue27, e la quota di persone di 30-34 anni che hanno completato un’istruzione terziaria, il 27,4 per cento in Italia e il 42,8 per cento in media Ue27. Per il lavoro, - si legge nel rapporto - il tasso di occupazione italiano nel 2022 è di circa 10 punti percentuali più basso rispetto a quello medio europeo (74,7%), con una distanza particolarmente accentuata tra le donne (55,0% in Italia rispetto a 69,4% per la media Ue27)”.
E a proposito di parità di genere, nonostante alcuni miglioramenti riscontrati in determinati indicatori, in generale Istat sottolinea “un divario di genere che vede penalizzate soprattutto le donne. Infatti, su 86 indicatori complessivi, solo 26 fanno registrare una parità di genere. Al contrario, 34 evidenziano una condizione di svantaggio femminile e altri 26 di svantaggio maschile”.
Lo svantaggio dell’Italia nel contesto dell’Ue27 si rileva, inoltre, in alcuni indicatori di Benessere economico aggiornati al 2021, tra cui il rischio di povertà e la grande difficoltà ad arrivare a fine mese, o al 2020, come la disuguaglianza del reddito netto.
Si conferma infine lo svantaggio dei giovani rispetto agli adulti, già riscontrato nel 2019, nel dominio Lavoro e conciliazione dei tempi di vita, su tutti i sette indicatori per la fascia di età 14-24 e i due terzi degli indicatori per la fascia 25-34 (otto su 12). Anche gli indicatori del dominio Benessere economico segnalano un più forte vantaggio degli adulti, crescente rispetto al 2019, sia sui giovanissimi, che sui giovani adulti. Al contrario entrambe le classi di giovani erano e sono in vantaggio sugli adulti sui domini Benessere soggettivo, Qualità dei servizi e Istruzione e formazione.
Il rapporto Bes è disponibile a questo link insieme alla sintesi e altri contenuti utili.