Emilia-Romagna
Dove la solidarietà è un marchio di fabbrica

UNA REGIONE DOVE IL WELFARE CONTA. Viaggiare attraverso le nove province dell’Emilia-Romagna vuol dire imbattersi in un territorio vasto (sono circa 300 i chilometri di distanza da un capo all’altro della regione) e variegato. È conosciuta per essere la culla del mondo cooperativo, ma il ruolo del volontariato ha più volte indicato la strada al sistema del welfare regionale facendo di questa terra una delle regioni più “sociali” di tutta Italia. Tra i suoi 4 milioni e mezzo di abitanti, secondo gli ultimi dati dell’Istat relativi al censimento delle istituzioni non profit, ci sono più di 470mila volontari attivi (dati al 2015), in crescita rispetto al 2011 di ben dieci punti percentuali. Nella regione, quindi, secondo l’Istat c’è un volontario ogni dieci abitanti. Un dato che, secondo la fotografia del terzo settore in Emilia-Romagna fornita dall’Osservatorio regionale sull’economia sociale e pubblicata sul sito web del Coordinamento dei centri di servizio per il volontariato dell’Emilia-Romagna è ancora più corposo se si tiene conto di tutto il panorama del volontariato presente nella regione. Secondo la stima, infatti, sono oltre 3mila le organizzazioni di volontariato attive, 40mila i volontari saltuari e ben 940mila i cittadini iscritti alle diverse Odv. Sempre secondo il coordinamento dei Csv della regione, sono quasi 4mila le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri (con più di un milione di persone coinvolte) e oltre 700 le cooperative sociali. Con questi dati è facile comprendere perché l’Emilia-Romagna sia finita al quinto posto nella classifica dell’Istat, tra le regioni italiane con il più alto numero di istituzioni non profit attive.
IL VOLONTARIATO CHE HA SAPUTO COGLIERE L’OCCASIONE PER CRESCERE. Nove province che negli anni, e in anticipo rispetto a quasi tutto il resto d’Italia, hanno visto nella nascita dei centri di servizio un’opportunità di sviluppo per il mondo del volontariato. Al 2015, secondo quanto riportato nel report pubblicato dal coordinamento regionale, i 9 Csv vantavano 10 sedi principali, 27 sportelli informativi e ben 13 case del volontariato. Quasi mille, inoltre, le realtà socie dei Csv. Notevole anche la capacità di raggiungere in modo capillare le associazioni del territorio: secondo il coordinamento quasi 7 associazioni su 10 iscritte nei relativi registri fruiscono dei servizi offerti dai diversi centri di servizio. Realtà sentite come proprie su ogni territorio. Ogni Csv in questa regione, infatti, ha un nome proprio che racconta in un colpo solo la propria mission.
GLI EMPORI SOLIDALI, UN PROGETTO ESEMPLARE DIFFUSO. Tra gli innumerevoli progetti realizzati dai 9 Csv ce n’è uno che torna sempre in ogni scheda di questo capitolo. Sono gli empori solidali: market pensati per sostenere le persone in difficoltàoffrendo anche occasioni di socializzazione e altri strumenti. Nascono dalla collaborazione tra istituzioni, terzo settore e aziende del territorio e propongono un nuovo approccio alla povertà. Ogni Csv ha contribuito alla nascita di uno o più empori e in ogni provincia si cerca di rispondere alle peculiarità del territorio. Secondo quanto riporta la Caritas Emilia-Romagna nel 2016, gli empori sono complessivamente 20, di cui 12 già attivi, 5 in fase di avvio e 3 in fase di progettazione.
LA SFIDA DELLA RIFORMA. I Csv negli anni sono cresciuti come capacità d’intervento e con l’entrata in vigore del codice del terzo settore andranno incontro a una nuova stagione. Nella regione solo Bologna, in quanto città metropolitana, manterrà un Csv unico. Tra le altre province, nessuna raggiunge il milione di abitanti come previsto dalla nuova normativa. Una prospettiva che preoccupa i Csv, che negli anni hanno costruito una prossimità inestimabile col territorio, ma che i direttivi stanno già affrontando. Come sta accadendo con il progetto Romagna che vede i Csv di Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna già al lavoro per far nascere un Csv unico, senza perdere però contatto con le organizzazioni del territorio.
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